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Dennis LyxzénSe tu fossi un ex pioniere del post hardcore, un tizio di quelli dritti con delle idee cazzute in testa, tipo la lotta di classe ed il veganarcomunismo, se tu fossi quel tizio che da frontman di una delle band più stimate ed avanguardiste di fine ’90 è stato poi elevato a sex symbol e poi ancora ad icona di un certo “immaginario alternative” militando in varie band, esplorando sonorità di ogni genere, anticipando le mode per poi disciogliersi in esse, se tu fossi un tizio simile al fratello maggiore di Justin Bieber che c’ha pure una sorella lesbica di nome Oly Sykes che canta nei BMTH, ecco, allora avresti molte probabilità di essere Dennis Lyxzén, ex frontman dei Refused, The (International) Noise Conspiracy, The Lost Patrol Band, 93 Million Miles, AC4 e Invasionen. Saresti stato un tizio che sul finire del XXI secolo avrebbe insegnato ad una generazione di pischelli che rischiavano di fossilizzarsi sui tre-quattro accordi del punk rock cosa fosse il futuro. I Refused hanno rappresentato per molti uno shock. Sembravano i Beatles invece era i Refused.

Quel loro cantante spiccava in personalità. Lo vedevi che il ragazzo c’aveva stoffa, con i suoi capelli alla paggetta prima ancora di Karen O degli Yeah Yeah Yeahs, tanto che l’avresti riconosciuto a fatica nei primi Refused, quando ancora era credenza comune che per essere hardcore occorreva atteggiarsi da tamarri. Poi Dennis Lyxzén, in un doloroso e coraggiosissimo gesto di onestà intellettuale decise assieme alla band di staccare la spina: “ragazzi, qui la festa è finita. Meglio passare ad altro”. I Refused si sciolgono ma la loro impronta rimane. Da questo momento in poi seguire le gesta di Dennis Lyxzén ha significato salire su un otto volante trasformista, conseguenza della personalità tipica di un tizio che certe cose e certe scelte se le può anche permettere. Ad esempio comporre canzoni che ti rivelano particolari intimi come il fatto che è stato il capitalismo a fottergli la verginità. Non un cetriolo o comunque il pranzo del giorno prima. Licenze poetiche di uno che fa colazione con Marx e s’addormenta con la ballata di Pinelli. A proposito Dennis Lyxzén lo vedrei bene assieme a Sasha Grey, dico davvero. Poi lo svedese ha iniziato a prendere una strana piega, come quella di diventare poser di se stesso, un’icona punk chic, roba che strizza l’occhio a Lady Gaga o ad altri hard hipsters dediti all’occulto. Certo, non è solo una questione di glamour, ma c’è anche la musica. I The (International) Noise Conspiracy sono gli antipodi di centinaia di gruppi The Qualcosa, anche qui profeti di stili e attitudini: jeans skinny strizzapalle, giubottini di pelle nera ancor prima del mascara emo. C’è da chiedersi se Gerard Way sarebbe mai esistito senza Dennis Lyxzén. Oppure, che so, Russel Brand. In realtà dietro i Noise Conspiracy c’era molto di più di un gruppo per gente in grado di infilare nella stessa frase parole come “abnegazione”, “Gramsci” e “outfit”. C’era quel garage rock un po’ sporco, un po’ sofisticato, un po’ indie, che faceva da contraltare alla roba dei connazionali The Hives. Per forza di cose ti sovviene il desiderio di chiedere a Dennis Lyxzén perché cazzo sentisse il bisogno di fondare un gruppo revival dei Joy Division in svedese?

Ascolti gli Invasionen e l’effetto dejà vu è più o meno lo stesso della prima volta che ti sei accorto dei Puddle of Mudd. Come Ian Curtis anche Kurt Cobain se n’è andato nel mondo dei più. Sono cose che ti strappano di bocca WTF obbligatori. Voglio dire, ti sei comunque gingillato con i The Lost Patrol Band, i 93 Million Miles, hai fatto tutte le tue esperienze in giro per il mondo, tra produzioni low-fi e progetti più mainstream, pronto per tornare sulla scena a spaccare o a darti all’avanguardia più sfrenata e stupire ancora una volta tutti quanti. Ma niente. Cazzo, avrei giurato di vederlo un giorno frontman di una band proto-ambient tipo gli Ulver, o qualcosa di simile ad un duetto elettro-jazzocore assieme a Mike Patton, con liriche anarchiche e distorsioni da acidità di stomaco dato dal tofu. Invece lo becchi a saltellare con i Bloody Beetroots, a fare roba danzereccia manco fosse Fabri Fibra ed il suo Rap Futuristico. Tra le altre cose un video stra-clichè: gente a cerchio scalmanata che salta a ritmo in un ambiente polveroso e seppiato esattamente a 20 anni di distanza da Smell like teen spirit, e poi il contesto hardcore fake stile Par-T-One, il montaggio alternato da slowmotion e i tizi che hanno preso in prestito le calzamaglie dei The Locust. Dai cazzo, da Dennis Lyxzén ti aspetteresti di più.

Ed è qui che lui mi frega e la mette nel culo al mio irriducibile animo da hater. Perché i Refused ritornano. E, diciamoci la verità, questo è il regalo più grande che lo svedese ci potesse fare. Non perché sia giunto al capolinea, della serie: tanto più di così non puoi fare, ma perché dei Refused si sentiva veramente la mancanza. Perché non poteva di certo finire con quella notte in carcere del ’98 con l’irruzione della polizia durante un concerto. I Refused furono arrestati, crocefissi e poi al terzo millennio resuscitarono in migliaia di altre band. Nel patrimonio genetico di un nuovo tessuto e di una grammatica sonori che non sarebbero mai stati possibili senza la band di Umeå. E soprattutto senza quel The shape of punk to come, nome arrogante e pretenzioso anche per un capolavoro incontrastato, una pietra miliare, un termine di paragone irrinunciabile. Semplicemente un cult che pulsa ancora di vita. Quell’album nel quale era presente una traccia dal titolo Refused are fucking dead: titolo profetico. Infatti non ci fu più nessun album dopo The shape of punk to come, titolo altrettanto profetico. Si era arrivati al capolinea. Refused are fucking dead è anche il titolo di un documentario girato nel 2006 da Kristopher Steen, chitarrista della band. Giusto per rendere noi fan ancora più malinconici. Poi l’annuncio semi-messianico della reunion. Quel genere di reunion che se schifi sei un coglione.
Refused are fucking dead? No, Refused are fucking bread. Il pane per i nostri denti, lo sono tuttora, anche a quattordici anni di distanza. Malgrado o anche grazie a Dennis Lyxzén.

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